5 anni in trincea. Cosa vuol dire, oggi, sostenere la Stazione.
Le grandi stazioni, in tutto il mondo, sono luoghi di passaggio. Non luoghi, direbbe l’antropologo Marc Augè. Superfici, pareti, stanze, che, seppur geograficamente collocati in posti diversi, rimandano agli stessi tipi di comportamenti. Arrivare, partire, salire, tornare o anche non tornare più. La stazione (con la s piccola) è, per antonomasia, lo spazio prediletto da chi vive ai margini. A ridosso delle ferrovie di tutto il mondo “stazionano” le cosiddette “vite di scarto”. Chi non ha un tetto sulla testa può contare su ripari di fortuna. Panchine che, magicamente, diventano letti. Vagoni abbandonati che si trasformano in alloggi provvisori. È la vita umana che, marginalmente, si perpetua, nel suo fluire incessante e precario.
Esistono poi altri tipi di stazioni (con la s piccola). Quelle non più destinate al passaggio di treni, di uomini e di merci. Ma vittime della logica delle dismissioni e degli abbandoni. Di chi ha pensato che le piccole infrastrutture ferroviarie non servissero più. Di chi ha voluto che, nei piccoli centri, le persone, abbandonassero a poco a poco la vita sociale, per trasformarsi, negli anni, a meri fruitori di centri commerciali.
In molte zone del Paese, i centri di potere sono riusciti nel loro intento. Trasformare la vita delle persone. Far perdere ad esse il piacere dell’aggregazione spontanea e libera, a favore di incontri dovuti puramente a transazioni economiche o a biechi interessi particolari. C’è un posto, però, che in questi anni ha resistito a tale inevitabile deriva. La Stazione (con la s maiuscola). L’iniziale in grande non è un caso. Comunica uno stile diverso. Da (non) luogo destinato al transito delle vite umane e al suo abbandono, la Stazione oggi, esattamente 5 anni dopo la sua inaugurazione, è un punto di arrivo e non di passaggio (come tutte le altre stazioni con la s piccola). Chi si reca su questi binari, un tempo destinati alle vite di scarto, oggi prova una sensazione diversa. Quel “restare umani” invocato dall’attivista Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza. Ci si reca alla Stazione per imparare (grazie ai suoi corsi), per arricchirsi interiormente (grazie ai suoi eventi musicali e teatrali), per incontrarsi, per conoscersi. Per sentirsi, un po’ di più, cittadini e non consumatori.
La Stazione, con i suoi 5 anni di vita, rappresenta oggi una piccola, grande, rivoluzione. Un’opera pubblica italiana che non corrisponde ai clichè delle altre “grandi opere”. Non imposta, non calata dall’alto come siamo abituati a vedere in altri contesti, ma nata e voluta fortemente, giorno dopo giorno, da quei volontari un po’ visionari di cui ci sarebbe sempre più bisogno. Una creatura di 5 anni nata dal basso, dall’esigenza di arginare il degrado inarrestabile con ciò che ci caratterizza come uomini. La coscienza di sentirsi parte attiva di una comunità, al di là delle istituzioni e del rituale inutile della delega attraverso il voto.
È per questo che i volontari della Stazione sono come un piccolo manipolo di soldati “civici” a difesa di una società libera che si batte, in trincea, alla frontiera di se stessa, minacciata da ogni parte dalla corruzione, dal malaffare, dal pressappochismo che, giorno dopo giorno, ne stanno erodendo i confini. Sostenerli significa, per questi motivi, dare una mano a una piccola grande battaglia rivoluzionaria, che dalle pendici del Vesuvio può finire persino dentro ognuno di voi.
Buon compleanno Stazione.
Ezio Petrillo volontario dell’associazione Stella Cometa-La Stazione di Boscoreale (NA)